L’autoritratto in blu
Noémi Lefebvre
€ 15.20
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Traduzione: Susanna Spero
Pagine: 120
Isbn versione cartacea: 9788897561989
«Resistere non significa sopportare. Resistere è qualcosa di più. E lo si impara in tanti modi».
Noémi Lefebvre su La Lettura
La protagonista di questo romanzo si immerge in un turbinio di pensieri esilaranti e caotici non appena prende posto, a fianco della loquace e temeraria sorella, sull’aereo Berlino-Parigi che la riporterà a casa. I suoi pensieri sono dominati dall’incontro con un pianista e compositore tedesco-americano ossessionato dal ritratto di Arnold Schönberg e, ancora prigioniera della sua violenta infatuazione, richiama alla mente tutto quello che è andato storto nel corso dei loro brevi, assurdi, incontri; un saliscendi di ricordi che la condurrà a evocare verità e interrogativi che andranno ben oltre la sua persona, sconfinando nei territori della memoria collettiva, dell’arte e della musica di un’intera idea di civiltà.
Noémi Lefebvre è nata nel 1964 e vive a Lione. Ha studiato musica per oltre dieci anni da bambina e in seguito ha ottenuto il dottorato di ricerca in materia di educazione musicale e identità nazionale in Germania e Francia. È politologa presso l’Istituto CERAT de Grenoble. È autrice di tre romanzi, i quali hanno ottenuto un intenso successo critico in Francia.
«Puro stream of consciousness che si legge nel tempo di un volo Berlino-Parigi».
Ilaria Gaspari, Il Foglio
«Un romanzo che, per il flusso ininterrotto di pensieri che lo percorre, assomiglia a uno spartito musicale».
Vanity Fair
«Un’applicazione dello stile di prosa di Thomas Bernhard a una particolare esperienza femminile che ricorda Bridget Jones: una forma di acuto imbarazzo sociale e cronica autoironia».
Times Literary Supplement
«In questo testo diabolicamente virtuosistico che evoca il contrappunto, Noémi Lefebvre scrive come un’autentica compositrice».
Le Figaro littéraire
«Questi temi, che spaziano dall’effetto paralizzante del nazismo sull’arte a bellissime intuizioni sul processo compositivo, assicurano che il libro non sia affatto una melanconica meditazione sugli amori perduti. Per essere un romanzo così breve, l’Autoritratto in blu miscela al suo interno una straordinaria profusione di idee».
Eimear McBride per The Guardian
«Uscendo dal Kaiser Café al Sony Center dopo aver rintronato il pianista con un mucchio di parole, lo avevo letteralmente ammazzato di parole, approfittando del fatto che fosse tedesco-americano per dargli pacche sulle spalle come avevo visto fare dai tedeschi oltre che nei vecchi film americani, anche se di rado dalle donne, non ricordo che fosse mai una donna a farlo nei vecchi film americani, ero dispiaciuta di aver parlato tanto, ho parlato troppo scusami davvero, ho detto dandogli una pacca sulle spalle come un uomo che non sono, come un buon amico che non sono, come un’amica di vecchia data che non ero, e allora ha detto ma no, niente affatto, va benissimo, con il suo accento tedesco-americano, devo aver detto la mia frase in tedesco e lui risposto in francese. Ich habe zu viel gesprochen e gli do una pacca sulle spalle, ma no, nient’affatto, va benissimo e mi tocca il braccio alla tedesca o all’americana per trasmettermi il calore dell’amicizia, ho aggiunto, questa volta in francese, che era stato lui a insegnarmi così tante cose e invece adesso sembrava che fossi io a insegnarle a lui. Non avevo proprio niente da insegnargli ma era troppo tardi, avevo parlato così bene in quel mio modo dotto e appassionato e tanto poco parco che a un certo punto doveva aver ceduto, fin dall’inizio in realtà, fin dalla mia prima parola, fin da quando avevo aperto bocca per la prima volta e, come in sostituzione del dente che mi manca, avevo subito parlato troppo, in quel modo dotto e appassionato e indiscreto, l’educazione alla discrezione ti è mancata avrebbe potuto dire il pianista, tua madre non ti ha insegnato la discrezione, ma non l’ha detto, lo avrebbe detto fosse stato in me ma io e il pianista siamo due mondi, lui discreto e io indiscreta, mi tornava in mente adesso in aereo tra una nuvola e l’altra, tra nulla e nulla, differenza condensata, in quel momento mi tornava di colpo in mente quell’impudenza, mi vedevo come sono, cosi impudente, è una veri- tà che si impone come un urlo, eppure io non urlavo, né quella verità né nient’altro. I passeggeri leggevano e bevevano caffè, l’aereo non è un posto per urlare, la macchina sì ma l’aereo no, la macchina è ideale per l’urlo comune e individuale, l’urlo di verità privo di ragione apparente mentre l’aereo solo per l’urlo accidentale e collettivo con ragione immediata. Perché, mi sono chiesta, troppo tardi però, al Kaiser Café non avrei potuto semplicemente leggere il mio libro?».